29 gennaio 2024

RAFFAELE, DAI BANCHI DI SCUOLA AL DON

La sua pagella di terza elementare è diventata un cimelio che i nipoti custodiscono con cura e orgoglio ed è un documento che ci restituisce l'immagine di una scuola inserita all'interno della struttura educativa del regime fascista, con il logo dell'Opera Nazionale Balilla laddove prima c'era lo stemma del Regno d'Italia.

fonte: Gozlinus

Ma Raffaele Cuozzo non ha avuto la possibilità di mostrarla ai figli e ai nipoti, perché non è mai tornato dalla Russia. "Disperso nel fatto d'arme del Don" il 23 gennaio 1943, come riporta freddamente il suo foglio matricolare. Non aveva ancora compiuto 21 anni.

Quando ne aveva nove, andava a scuola in Piazza Castello, dal maestro Antonio Cappetta; era l'anno scolastico 1930-1931, Raffaele frequentava la terza elementare.

Non sappiamo se anche il piccolo Raffaele è in questo gruppo di studenti, che posano insieme a don Antonio Cappetta e ad Antonio Masi (che sarà podestà di Valva dal 1935 al 1939):

Valva, Villa d'Ayala-Valva; Antonio Masi è l'adulto a sinistra,
don Antonio Cappetta a destra; al centro, probabilmente una maestra;
fonte
La pagella è un documento interessante perché fornisce alcune informazioni sulla fascistizzazione della scuola, anche se ancora in una fase iniziale.

Si notino lo spazio per il numero della tessera dell'Opera Nazionale Balilla, l'indicazione dell'anno dell'Era Fascista e il richiamo all'ONB:

Leggiamo nell'Enciclopedia Treccani, a proposito dell'Opera Nazionale Balilla:

Istituzione fascista per l'assistenza e l'educazione fisica e morale dei giovani; raccoglieva i ragazzi dagli 8 ai 14 anni (detti Balilla), i giovani dai 14 anni compiuti ai 18 (gli Avanguardisti) e le Piccole e le Giovani italiane. Eretta in ente morale (legge 3 apr. 1926), fu sottoposta, in un primo tempo, alla vigilanza del capo del governo, e dal 1929 alle dipendenze del ministero dell'Educazione nazionale; nel 1937 fu assorbita nella Gioventù italiana del littorio.

Le materie ancora non rimandano chiaramente al regime fascista, ma da lì a qualche anno l'insegnamento di "nozioni varie" aggiungerà la dizione "e cultura fascista", mentre "storia" diventerà "storia e cultura fascista".

Nonostante il rigore dei metodi educativi del tempo, possiamo immaginare che per Raffaele quella sia stata una pagina felice della sua breve esistenza.

Il tempo passa veloce, come attratto dal buco nero della guerra.

Nell'ottobre 1942, Raffaele arriva in Russia, con la Divisione Vicenza.

Aver imparato a scrivere gli servirà per inviare lettere a casa, dal fronte di guerra russo.

Non gli servirà però a evitare di essere uno dei tanti dispersi durante la tragica ritirata italiana: dopo dieci giorni di ritirata e alla fine della battaglia decisiva per uscire dalla sacca del Don -quella di Nikolaevka- i morti o dispersi italiani saranno 43mila.

Raffaele portava il nome di uno zio morto nella Grande Guerra combattendo con l'esercito americano; abbiamo raccontato la sua storia di emigrazione e di guerra nel post 👉Raffaele, caduto nel giorno della vittoria. Alla mamma di quest'ultimo -e nonna del soldato disperso in Russia- abbiamo dedicato il post 👉Nicolina e la guerra.

A Raffaele Cuozzo abbiamo dedicato i seguenti post:

👉Raffaele, che non è mai tornato dalla Russia 
👉Una lettera dal fronte russo
👉Mio carissimo padre

Nella lettera spedita dal fronte russo nel dicembre 1942 (pubblicata sul nostro blog) il giovane soldato manda i saluti a "nonna Nicolina".

Ecco un brano della lettera:
[...] ora non mi prolungo vi saluto a tutti zio Ernesto zia Maria zia comara Ermelinda sorelle fratelli e in particolare la nonna Nicolina e voi genitori vi abbraccio e vi bacio vostro affezionatissimo figlio Cuozzo Raffaele.

Un sentito ringraziamento alla signora Norma Caldarone per la gentile collaborazione.
Le foto delle pagelle sono tratte dal blog "Gozlinus".

G.V.

26 gennaio 2024

IL DONO E IL FARO: OMAGGIO AGLI IMI

Le poche patate che danno "alla mano" ogni tre giorni, hanno ora dei lunghi germogli pallidi e molli come vermi. Dev'essere primavera.

Vengono in mente queste parole dell'internato militare Giovanni Guareschi, il celebre autore dei romanzi di don Camillo e Peppone, quando si pensa a zio Enrico Santovito, che raccontava di mangiare solo patate e di essere dimagrito tantissimo durante la sua prigionia in Germania.

Ieri alla sua memoria è stata consegnata la medaglia d'onore del Presidente della Repubblica, durante una cerimonia presso il Salone dei Marmi del comune di Salerno, nel corso della quale sono state consegnate le medaglie ai familiari di 27 ex internati della provincia di Salerno. 

A ritirare la medaglia, la nipote Rosanna.



Rosanna con la zia Michelina, figlia di Enrico Santovito

La cerimonia

A presiedere la cerimonia, il prefetto Francesco Esposito; erano presenti, tra i partecipanti, il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli e l'arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno mons. Andrea Bellandi.

Hanno preso la parola la direttrice dell'Archivio di Stato Fortunata Manzi e la presidente della Società Dante Alighieri Pina Basile.

Gli studenti di alcune scuole salernitane hanno eseguito alcuni brani musicali e proiettato un documentario fotografico sulla visita al Lager di Auschwitz-Birkenau.

Abbiamo chiesto a Rosanna Santovito di riassumere le parole del Prefetto e di condividere con noi le sue emozioni. 

Ecco cosa ha riportato la nipote di zio Enrico:

Il Prefetto ha iniziato il suo discorso spiegando l'etimologia del termine memoria, che indica la capacità di ritenere traccia di informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni e idee di cui si sia avuta esperienza e di rievocarle quando lo stimolo originario sia cessato, riconoscendole come stati di coscienza trascorsi. Per sopravvivere ai dolori e ai traumi, la mente tende a eliminare o a mettere in disparte i ricordi dolorosi che hanno segnato la persona.

A questo punto io mi sono soffermata a pensare che mio nonno Enrico non ha mai dimenticato quegli eventi, anzi fino agli ultimi giorni della sua vita ha parlato di quegli orrori, portandosi addosso quel trauma con incubi e paure ricorrenti su una possibile nuova guerra.

Ecco la conclusione del discorso del prefetto Esposito:

La memoria è il fondamento della nostra Repubblica, che si basa sui principi di uguaglianza, libertà, solidarietà e riconoscimento della dignità umana. Non dobbiamo correre il rischio che il Giorno della Memoria sbiadisca con il trascorrere del tempo e si trasformi soltanto in una ritualità ripetitiva, ma dobbiamo viverlo come un sentimento civile, coinvolgente e appassionato, per preservare la pace, l'amicizia tra i popoli, il dialogo, la libertà e la democrazia. Mi piace concludere citando Primo Levi: l'Olocausto è una pagina del libro dell'Umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria. Questa frase, così suggestiva, assume oggi particolare rilievo perché, con il venir meno delle testimonianze dei sopravvissuti, grava su tutti noi ancora di più la responsabilità di tenere viva la memoria nel suo significato più autentico.  fonte consultata

Esprime la sua soddisfazione Fiorenza Volturo, presidente della sezione di Valva dell'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci:

E' stata una data importante per la nostra comunità, inserita tra gli eventi del Giorno della Memoria, sempre più consapevole che la democrazia ci è stata consegnata da uomini come zio Enrico. L'onore della Memoria e l'anelito alla libertà di uomini che non ripudiarono la loro Patria siano il nostro faro perché il Male non torni.

La presidente Volturo, con la collaborazione dell'amministrazione comunale, aveva cercato di far ottenere la medaglia d'onore al signor  Enrico Santovito quando egli era ancora in vita. 

Salutando l'ultimo reduce valvese dell'internamento in Germania, aveva scritto:

Il tempo non ci è stato amico, ma il mio impegno sarà quello che il suo onore venga riconosciuto in memoria dalla più alta carica dello Stato.

Ora la promessa è stata mantenuta, la medaglia a zio Enrico Santovito è stata concessa.

L'auspicio è che si riesca a farla ottenere anche alla memoria degli altri valvesi internati in Germania, pur nella consapevolezza che il percorso non è breve.

Approfondimento

Nel precedente post dedicato al signor Enrico Santovito abbiamo indicato gli altri post in cui abbiamo raccontato la sua storia:
👉Una medaglia per dire grazie

Sulla questione degli IMI:
👉Il giorno in cui nacquero gli IMI
👉Internati militari in Germania: una scelta antifascista

Il punto sulle ricerche degli internati militari valvesi:
👉I nomi degli internati militari valvesi

G.V.

25 gennaio 2024

UNA MEDAGLIA PER DIRE GRAZIE

In occasione del Giorno della Memoria, il Prefetto di Salerno Francesco Esposito consegnerà le medaglie d'onore del Presidente della Repubblica agli internati militari italiani, deportati nei Lager nazisti.

La medaglia d'onore viene concessa a coloro che, catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943 e deportati nei campi nazisti, rifiutarono di aderire alla Repubblica Sociale Italiana o all'esercito tedesco. Furono circa 650 mila.

Leggiamo sul sito del Governo italiano:

L'articolo 1, commi 1271-1276 della legge finanziaria per l'anno 2007 [...] ha previsto la concessione di una medaglia d'onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l'economia di guerra nell'ultimo conflitto mondiale, che abbiano titolo per presentare l'istanza di riconoscimento dello status di lavoratore coatto, nonché ai familiari dei deceduti.

La loro è stata definita "una resistenza senza armi": hanno di fatto reso più debole la Repubblica di Salò, sottraendo forze alla repressione contro i partigiani e agli eccidi dei civili attuati dai nazifascisti in Italia.

A loro venne offerta l'opportunità di riconquistare la libertà in cambio dell'adesione nei reparti della Wehrmacht o dell'esercito della Rsi. Scelsero l'internamento, rischiando la loro vita e di fatto condannandosi allo sfruttamento, alla fame, ai soprusi.

Significative le parole di uno di loro, forse il più celebre, Giovanni Guareschi:

Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente...sono un combattente senz'armi, e senz'armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi che non sono meno micidiali delle palle di schioppo...Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano.

A Salerno, una medaglia d'onore sarà consegnata anche ai famigliari di Enrico Santovito, deceduto nel settembre 2022 a cento anni e sei mesi. 

A Valva era l'ultimo testimone del dramma dell'internamento in Germania.

Al signor Enrico Santovito il nostro blog ha dedicato i seguenti post:


Torneremo a occuparci di lui, con un post dedicato alla cerimonia e raccontando ancora la sua vicenda.

G.V.

16 gennaio 2024

"SPREMUTI COME LIMONI": I LAVORI FORZATI DEGLI IMI

Con la trasformazione dei prigionieri italiani in internati militari, Hitler ha a disposizione un ingente "bottino di guerra" (rappresentato anche dai prigionieri degli altri paesi occupati) come forza lavoro nelle fabbriche, nei campi e nelle miniere, in assenza dei tanti uomini tedeschi sotto le armi.

Vittorio Vialli, La lunga coda per l'acqua (Fondo Vialli) fonte

Nel suo recente e preziosissimo Schiavi di Hitler, nel capitolo dal titolo Lavori forzati (pp.110-124) il prof. Mimmo Franzinelli sottolinea che l'economia tedesca ha bisogno dei prigionieri italiani. Dopo solo tre settimane, ad esempio, un piano delle autorità tedesche ipotizza un fabbisogno di 421mila unità. Nel novembre del 1943 sono quasi 383mila gli IMI al lavoro, a metà febbraio 1944 sono 428mila, a metà maggio 437mila.

Si assiste a una "gara contro il tempo" tra i reclutatori di manodopera e gli emissari fascisti che cercano adesioni alla Repubblica Sociale Italiana.

Sono gli stessi funzionari fascisti a testimoniare le condizioni massacranti degli internati italiani, con un orario giornaliero che oscilla dalle 12 alle 14 ore, "debilitati dalla fame e prostrati da insulti e percosse".

fonte

Settori di impiego degli IMI, "spremuti come limoni"

Franzinelli analizza dati del febbraio 1944: gli internati militari italiani vengono impiegati nell'industria mineraria (56%), in vari settori produttivi (35%) e nell'agricoltura (6%). Molti sono impegnati anche nello sgombero delle macerie (un numero in aumento visto che i bombardamenti sulle città tedesche si intensificano). L'orario settimanale risulta in media di 57-58 ore, con un solo giorno di riposo.

Significativo il commento dello storico:

L'atteggiamento dei tedeschi -gerarchi, militari e civili- è caratterizzato da una sorta di schizofrenia: da un lato trattano gli italiani come degli animali e con ostentato disprezzo li vogliono distruggere sul piano morale, dall'altro pretendono una resa produttiva esemplare, senza rendersi conto della contraddizione tra le due condotte. Gli IMI vengono spremuti come limoni.   [op. cit., pp. 112-113]

Un'ordinanza di Hitler (28 febbraio 1944) precisa che il vitto deve essere in relazione alla produttività; se questa è insoddisfacente, il vitto va ridotto a tutta l'unità di lavoro.

Chi non regge ai ritmi della miniera o della fabbrica diventa un convalescente-bracciante: viene destinato alle aziende agricole, dove il lavoro è meno logorante e le razioni alimentari sono generalmente migliori di quelle dei Lager. Non mancano, però, testimonianze di internati impegnati nelle aziende agricole che denunciano dure condizioni di lavoro.

La "civilizzazione" coatta

Nell'estate del 1944 agli IMI viene proposta la trasformazione in "liberi lavoratori": così avevano previsto Mussolini e Hitler nel loro incontro del 20 luglio.

Gli internati non credono alle promesse. Come testimonia Carlo Bargaglia (rinchiuso in un Lager in Baviera), gli italiani ritengono di essere stati trasformati in lavoratori civili solo per essere impiegati più facilmente.

Vari imprenditori giungono nei Lager e selezionano gli italiani.

Nonostante la Convenzione di Ginevra lo vieti, anche gli ufficiali sono sottoposti al lavoro coatto.

Drammatica la testimonianza del tenente colonnello Pietro Testa, dal campo di Wietzendorf:

Gli ufficiali spesso venivano convocati a teatro, sotto la luce di proiettori e sottoposti alla scelta di impresari e contadini tedeschi che palpavano loro gli arti, guardavano in bocca come se fossero delle bestie. Gli ufficiali che si rifiutavano di partire venivano portati fuori dal campo con sentinelle armate di fucile e baionetta.   [op. cit., p.118]

Ci siamo già occupati di un internato militare a Wietzendorf che rifiuta di lavorare durante la prigionia. E' il valvese Giovanni Milanese, che così scrive nel suo diario Frammenti di storia. Diario di guerra e di prigionia 1943-1945:

27-11-44
E' uno dei più brutti giorni di questa mia prigionia.
Mi hanno chiamato per mandarmi a lavoro, ma non mi sono presentato. Stiamo a vedere cosa succede.
29-11-44
Mi richiamano. Non ci vado di nuovo
.
1-1-45
Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  
Malgrado tutto voglio resistere ancora.
Voglio difendere fino all'ultimo il mio punto di vista.

Il cappellano militare Bernardino Pavese scrive queste significative parole, che il professor Franzinelli pone a conclusione del capitolo dedicato ai lavori forzati:

Gli IMI hanno lavorato. Tutti hanno lavorato. Sempre hanno lavorato. Lavori forzati. E lavorano duramente: 12 ore al giorno, con un turno di un giorno di riposo al mese e...con molta fame. Hanno per questo collaborato? Ognuno s'ingegno per sabotare (nella massa, quanto sabotaggio!) e a proprio rischio e pericolo, e sotto gli occhi e nelle meni del nemico! [op. cit., p.124]

Approfondimento
Sull'argomento, il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:
👉Il pranzo di Natale con le patate risparmiate
👉Il ritratto di Michelina per tre razioni di pane
👉L'unico amore del prigioniero Giovanni
👉Fare la guardia alla dignità di italiano
👉Sono di nuovo un uomo e non più un numero
👉Scrivere per sentirsi ancora uomini


Bibliografia
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

G.V.

15 gennaio 2024

UN SECOLO DI MEMORIA

Centenario costruzione 

Monumento ai caduti 

Valva, 1924-2024 

Come prima tappa del nostro lavoro dedicato alla celebrazione del centesimo anniversario della costruzione del monumento ai caduti di Valva, vi proponiamo due citazioni da un celebre romanzo ambientato nella Grande Guerra, Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque.

Siamo dei profughi, fuggiamo da noi stessi. Avevamo diciott'anni e cominciavamo ad amare il mondo e l'esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore. Siamo esclusi ormai dall'attività, dal lavoro, dal progresso, non ci crediamo più. Crediamo nella guerra.

A nessuno la terra è amica quanto al fante. Quanto vi si aggrappa, lungamente, violentemente; quando col volto e con le membra vi affonda nell'angoscia mortale del fuoco, allora essa è il suo unico amico, gli è fratello, gli è madre; nel silenzio di lei egli soffoca il suo terrore e i suoi gridi, nel suo rifugio protettore essa li accoglie, poi lo lascia andare, perché viva e corra per altri dieci secondi, e poi lo abbraccia di nuovo, talvolta per sempre. 

Il blog la ràdica ha in programma una serie di iniziative per celebrare questo anniversario così ricco di significato storico e culturale per Valva.


La foto dell'inaugurazione, pubblicata da Gozlinus, proviene dall'archivio del marchese d'Ayala Valva; la foto del fante del monumento di Valva è tratta dal Catalogo Generale dei Beni Culturali;  le altre due foto sono di Valentino Cuozzo; l'elaborazione grafica è di Anna Bergamini.

un secolo di memoria, 1

G.V.

06 gennaio 2024

I POST PIU' LETTI DEL 2023

L’inizio del nuovo anno ci dà l’occasione di riproporvi i dieci post più letti del 2023 sul nostro blog “la ràdica”.



Partiamo con un post sulla Grande guerra: la storia del soldato Michele Spiotta; questo post presenta la lettera in cui la sua morte è stata annunciata alla famiglia.
Michele muore nell’agosto 1915, in una località resa poi celebre dai versi belli e struggenti di Giuseppe Ungaretti: Bosco Cappuccio. Questo spiega il titolo un po’ particolare: In un declivio di velluto verde, un eroe silenzioso.
Eroe è un termine che viene utilizzato nella lettera con cui il capitano Iovene dà la notizia della morte al padre di Michele Spiotta: Condoglianze, signor Spiotta, suo figlio morì da eroe.
Silenzioso è stata una nostra aggiunto, perché dava l’idea di un soldato che con semplicità, con umiltà si è dedicato al compito che gli  era stato affidato, quello di portaferiti.
Nel post è riportata anche una seconda lettera del capitano Iovene, in cui racconta che nel piccolo cimitero di Versa i commilitoni hanno messo una bella croce di cemento con un’epigrafe sulla sepoltura di Michele. Michele ora riposa nel sacrario militare di Redipuglia.

Tra i post più letti troviamo quello che riporta l’intervista fatta alla signora Maria Marciello (zia Marietta): Tu sai la storia e io i fatti- La guerra vissuta a Valva nei ricordi di una testimone.
Questo è uno dei post dedicati al settembre 1943, un periodo particolare e certamente indimenticabile nella storia di Valva perché per qualche settimana americani e tedeschi si sono fronteggiati proprio qui e i cittadini valvesi si sono rifugiati in montagna e nelle grotte, a partire dalla più celebre, quella di San Michele.
I racconti dei testimoni che sono ancora tra di noi sono molto significativi per ricostruire questa pagina drammatica della nostra storia.
In occasione dell’ottantesimo anniversario di quegli eventi, il nostro blog ha dedicato alcuni post ai ricordi dei valvesi e sta ultimando la creazione di un ebook dal titolo All'ombra delle tue ali.

foto di Valentino Cuozzo

Poi abbiamo il post Giuseppe, dalla Russia al Lager.
E’ la storia di Giuseppe Falcone, che è stato soldato in Russia, è sopravvissuto alla drammatica ritirata e poi, nel settembre 1943, è stato fatto prigioniero dei tedeschi e deportato in Germania.
Negli Archivi Arolsen abbiamo trovato un documento che riporta il nome della località tedesca nella quale Giuseppe ha lavorato dall’11 novembre 1944 al 20 aprile 1945, data nella quale verosimilmente è stato liberato.
Giuseppe è deceduto a Valva nel 1952.


In questo nostro percorso di rilettura, incontriamo una vicenda particolare ed emblematica: due fratelli che combattono la Prima guerra mondiale in due eserciti differenti. Sono i fratelli Michele e Amedeo Catino, il post si intitola Due fratelli alla Grande Guerra in due eserciti differenti.
Michele combatte la guerra con la divisa del regio esercito italiano e cade sul Carso il 29 giugno 1916; riposa al Sacrario Militare di Redipuglia.
Amedeo, emigrato negli Stati Uniti nel 1906, si arruola nell’esercito americano e il 31 agosto 1918 si imbarca per la Francia, dove combatte a Verdun. Una nipote ricorda che i gas respirati in guerra gli avevano provocato problemi di salute e in effetti in alcuni documenti Amedeo Catino risulta wounded in action: espressione utilizzata per i soldati feriti in combattimento.
Alla fine della guerra, Amedeo rientra negli Stati Uniti, dove eserciterà la professione di barbiere fino a quando tornerà in Italia. Morirà a Valva nel 1971.

Molto letto è stato anche il post Sono di nuovo un uomo e non più un numero, uno dei post che il blog “la ràdica” ha dedicato al diario di Giovanni Milanese, internato militare.
Questo post racconta i concitati avvenimenti dell’aprile-maggio 1945, le settimane della liberazione del campo di Wietzendorf, attraverso alcune pagine del diario di Milanese.
Particolarmente significative le osservazioni -lucidamente critiche- del soldato valvese sul comportamento degli ex prigionieri e dei soldati russi; quando pensa al futuro, Giovanni Milanese non sembra molto ottimista.

Forse sarà anche naturale in un paese d’occupazione, specialmente quando questo paese è la Germania, ma sorpassare dei limiti di decenza, per me è assolutamente una cosa indegna. Bisogna rifare l’Italia, ma prima c’è da forgiare l’italiano nuovo 

Penso con terrore all’Italia di domani. […] Io sono sicurissimo che molti non vorranno sottostare a quella che è una legge più che umana, divina: lavorare per mangiare…
Vittorio Valeri, Baracche di Wietzendorf

A metà della nostra classifica troviamo il primo di una serie di post dedicati a una storia che ci ha fatto compagnia nel 2023, la storia di un soldato americano di origini italiane (il papà era un valvese, Antonio Porcelli emigrato negli USA nel 1900). Dopo lo sbarco di Salerno questo giovane soldato è venuto a Valva a conoscere la nonna; a quell’incontro risalgono alcune foto che noi del blog abbiamo visto e a partire dalle quali abbiamo cercato di ricostruire il nome e la vicenda del soldato americano.  Abbiamo individuato il nome del soldato: Henry Porcelli; al nome si sono aggiunti altri elementi della sua vicenda.
Il post 1943: Dopo lo sbarco a Salerno un soldato americano visita la nonna a Valva è risultato il più visualizzato tra quelli dedicati all’argomento, ma quando lo abbiamo pubblicato ancora non conoscevamo il nome del soldato.  
Henry Porcelli è deceduto nel 2010, ultranovantenne.

Siamo molto legati a un post che riteniamo particolarmente significativo per il nostro blog: Cose che vengono a galla: parlando di guerra con un uomo di cento anni.
È l’intervista all’ultimo reduce valvese della Seconda guerra mondiale, pochi giorni prima del suo centesimo compleanno.
Intervistare il signor Giuseppe Feniello è stata un’esperienza sicuramente per il nostro blog.
Nei mesi precedenti, nel novembre 2022, avevamo pubblicato un’altra intervista a cura della nipote Gerardina: I racconti dell'ultimo combattente.
Ci siamo occupati della vicenda di Giuseppe Feniello anche con l’ebook dal titolo L’ultimo soldato, come piccolo regalo per i suoi cento anni.



Sul podio della nostra classifica troviamo due storie relative alla prima guerra mondiale. Carmine, caduto nel vasto uragano di Caporetto racconta la vicenda di Carmine Caldarone.
Caporetto è una battaglia complessa, chiaramente non riguarda un solo giorno e un solo luogo, "vasto uragano" è la definizione data dal famoso corrispondente del Corriere della Sera, Luigi Barzini. Carmine cade il 25 ottobre, non ha ancora venti anni.

Con la sconfitta di Caporetto l’esercito italiano viene messo in rotta e deve ripiegare sul Piave e sul Monte Grappa, abbandonando l’intero Friuli e buona parte del Veneto. La riscossa inizierà già nel novembre 1917, nella prima vittoria sul Piave dopo Caporetto, a Fagaré di Piave, oggi Fagaré della Battaglia in provincia di Treviso.
In questa occasione, il soldato valvese Carmelo Alfano viene decorato con una medaglia d’argento al valor militare. Il soldato parteciperà anche alla battaglia del Solstizio, nel giugno 1918, nel corso della quale otterrà un’altra medaglia ma troverà la morte.
La sua vicenda è raccontata nel secondo post più visualizzato del 2023, Due medaglie sul petto di Carmelo, caduto sul Piave.  
Carmelo Alfano è il fratello di quello che diventerà poi parroco di Valva, don Beppe Alfano.

Il post più visualizzato del nostro blog nel 2023 è risultato essere La signora che ricorda il partigiano di Valva: la storia di un incontro tra Luciana, la nipote del partigiano di Valva Michele Cecere, e la signora Caterina che abita a Pianfei in provincia di Cuneo e ancora ricorda il soldato valvese. La signora Caterina ricorda che Michele lavorava come calzolaio e si era rifugiato vicino casa sua, presso la famiglia AmbrosioDopo l’8 settembre 1943, Michele Cecere si sottrae alla cattura e viene ospitato da una famiglia borghese -come è scritto nei documenti- a Pianfei. Nel luglio 1944 ha preso parte alla lotta partigiana. Il nostro blog ha dedicato diversi post al signor Michele Cecere; abbiamo scoperto anche il giornale Rinascita d'Italia, rivista della sua brigata partigiana, chiaramente pubblicata clandestinamente (alcuni numeri sono stati stampati in un santuario di Mondovì). 


Questi dunque sono stati i dieci post più letti nel 2023. Ovviamente, post pubblicati più tardi -ad esempio in autunno-non hanno ancora raggiunto un numero di visualizzazioni sufficiente per entrare in questa nostra classifica, che si riferisce al periodo gennaio-dicembre.
Grazie a tutti coloro che hanno collaborato con noi in questo lavoro. Continuate a seguirci.
Vi auguriamo una buona rilettura di questi post, nella speranza di aver raccontato storie che meritavano di essere raccontate e che ancora possono essere di insegnamento per noi.
G.V.

30 dicembre 2023

ANGELO MICHELE, L'ARTIGLIERE INTERNATO IN GERMANIA

Nella silenziosa sala di consultazione dell'Archivio di Stato di Salerno, incontro la storia di un mio concittadino che non era nel mio elenco.

Non era nell'elenco degli internati militari italiani e la sua storia mi dimostra che occorre cercare ancora.

Angelo Michele Strollo, nato a Valva il 5 settembre 1909 da Antonio e Maria Macchia; un mulattiere dal naso greco, che speva leggere e scrivere.

Leggo il suo foglio matricolare e subito mi colpisce un'informazione: catturato dai tedeschi e condotto in Germania l'8 settembre 1943

È stato catturato in Grecia, dove era giunto il 18 febbraio 1943, nel 353° Batteria del 26° Artiglieria Corpo d'Armata.

Artiglieria; la foto proviene dall'archivio dell'internato militare
Gelsomino Cuozzo

Il 18 febbraio mi ricorda qualcosa. Penso alla nascita De André e al suo antimilitarismo (uno zio del noto cantautore è stato internato militare), ma Faber quel giorno compiva tre anni. 

Ecco: il 18 febbraio 1943 a Monaco la Gestapo arrestava Sophie e Hans Scholl insieme ad altei membri del movimento Rosa Bianca, un'organizzazione di studenti cristiani che si opponevano al nazismo. 

La resistenza al nazismo è però debole e gli eventi dell'estate del 1943 dimostreranno che l'esercito tedesco è ancora forte. Ne faranno le spese gli oltre seicentomila soldati italiani fatti prigionieri dopo l'8 settembre, i caduti di Cefalonia e delle altre isole, le vittime degli eccidi civili.

Dopo la fine della guerra in Europa, il 18 maggio 1945 Angelo Michele viene liberato; trattenuto dagli Alleati fino al 16 giugno,  rientra in Italia e si presenta al Distretto Militare di Salerno per essere sottoposto all'interrogatorio di rito.

Leggo anche che ha ottenuto la croce al merito di guerra (due concessioni) per la partecipazione alle operazioni di guerra in Balcania, nei teritori greci e albanesi.

Uno dei due artiglieri dovrebbe essere il valvese Gelsomino Cuozzo

Sul foglio matricolare, alla voce distinzioni e servizi speciali leggo servente: un militare addetto con diversi incarichi al funzionamento di un'arma da fuoco o da lancio.

Di lui non so altro, ma da oggi so che è stato soldato, è stato prigioniero, ha detto no ai tedeschi.

G.V.

29 dicembre 2023

IL PRESEPE DEGLI INTERNATI MILITARI

Gli internati militari italiani a Wietzendorf avevano il loro presepe clandestino, realizzato per il Natale 1944 dal milanese Tullio Battaglia, con stracci e ricordi dei singoli prigionieri.

Dopo la liberazione, Tullio Battaglia riuscì a portare con sé il presepe e lo donò alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano, dove ancora oggi si trova.

Mancava una sola statuina, quella del bue, che era stata smarrita. Era rimasta a Wietzendorf, raccontava lo stesso Tullio Battaglia qualche anno fa, "a vegliare sui compagni morti".

Quest'anno un'associazione culturale di Wietzendorf ha fatto realizzare una statuina del bue e l'ha consegnata alla basilica di Sant'Ambrogio, come gesto di pace e di riconciliazione.

Ora il presepe della prigionia in Sant'Ambrogio è di nuovo completo.

Ecco come un bell'articolo di Luca Frigerio (1944: il presepe nel lager, dalla Germania a Milano, sito della Diocesi di Milano) racconta la creazione del presepe: 

Così, con un coltellino da scout (miracolosamemte scampato ad ogni perquisizione), una forbicina robusta, un cardine di una porta come martello, alla luce del lumino che ognuno conteibuì ad alimentare togliendo una piccola parte alla microscopica razione di margarina, nacque questa sacra rappresentazione. 
La nostalgia per la propria terra spinse Tullio ad ambientare la scena in un angolo di una tipica cascina lombarda, dove un'umile contadina s'avvicinava al Bambin Gesù, stretto tra le braccia della Vergine Maria. Attorno ci sono i Re Magi, la tessitrice che confeziona la [...] bandiera tricolore,  lo zampognaro abruzzese e il pastore calabro, presenze poetiche del presepe e "rappresentanti" degli sventurati compagni di prigionia, di ogni parte d'Italia.  fonte 

Due personaggi sembrano avere un valore particolarmente significativo dal punto di vista simbolico: l'internato militare italiano e il guerriero longobardo; il primo sembra quasi intimorito ad avvicinarsi alla mangiatoia e resta un po' in disparte, "nella sua divisa lacera ma dignitosa", il secondo depone le sue armi ai piedi del Bambino.

I pannelli informativi che presentano il presepe in Sant'Ambrogio ci aiutano a comprendere la difficoltà della realizzazione dell'opera. Ad esempio, leggiamo che per le parti in legno (teste, mani, piedi, telaio, cornamusa) sono state usate le assicelle sulle quali si dormiva, per gli scheletri delle statue è stato usato il filo spinato cui sono state tolte le spine con le mani. I vestiti sono stati realizzati con i ricordi dei prigionieri, ad esempio i pizzi sono tagliati dai fazzoletti donati dalle fidanzate ai soldati partiti perr la guerra. Armature, corone e doni sono ritagliati da vecchie lattine.

In primo piano, il bue appena aggiunto al presepe

Il campo di Wietzendorf sarà liberato dagli inglesi il 16 aprile 1945; ecco un plastico che lo ricostruisce: 
Museo Nazionale dell'Internamento, Padova


Un cordiale ringraziamento a Vinicio Sesso per le foto del presepe e per averci messo a disposizione le informazioni riportate sui pannelli informativi.

Approfondimenti
Qui trovate il video di Luca Frigerio, pubblicato sul sito della Diocesi di Milano: 👉📹

Il blog "la ràdica" da citato in alcuni post il campo di Wietzendorf, che ha ospitato il valvese Giovanni Milanese, autore del diario Frammenti di storia- Diario della guerra e della prigionia.
Al diario abbiamo dedicato i seguenti post:

G.V.